Intervista a Paola Limongelli, assistente sociale e ricercatrice presso Centro di ricerca Relational Social Work, Università Cattolica di Milano
Si definiscono Giovani Caregiver (Young Caregiver in Inglese) e sono ragazzi e ragazze che, per necessità o per scelta, si trovano a farsi carico e a prendersi cura di parenti o membri fragili della loro famiglia. Nella letteratura internazionale si stima che siano dal 2% all’8% di adolescenti e giovani, tra 15 e 24 anni e, in Italia sarebbero il 6,6%, secondo il report europeo “MeWe” del 2019. Questi giovani sono impegnati, spesso e con regolarità, in mansioni di responsabilità che sono considerate inappropriate per la loro età, quando un membro della famiglia soffre di malattie croniche o disabilità.
A descrivere il fenomeno italiano è “The hidden children. Una ricerca partecipativa relativa al fenomeno degli young caregiver italiani”, condotta da Paola Limongelli, assistente sociale e ricercatrice presso Centro di ricerca Relational Social Work, Università Cattolica di Milano. Diffusa nel 2020 è stata realizzata su un campione di 424 intervistati tra i 13 e i 15 anni. Grazie all’approccio partecipativo le persone tradizionalmente considerate come oggetto di ricerca, sono diventare protagoniste, assumendo il ruolo di co-ricercatori, riconoscendo in loro un “sapere esperienziale”.
I motivi per cui questi adolescenti non hanno alternative - si legge nel report - possono essere molteplici, come le scarse risorse finanziarie e gli aiuti insufficienti da parte dei servizi sociali e sanitari. “Il 40% è coinvolto nelle responsabilità familiari in varia misura (una o più volte alla settimana) - spiega Limongelli - e il 19,3% ha dichiarato di svolgere in modo intenso lavoro di cura, occupandosi in particolare delle attività relative alla cura intima e del supporto emotivo di un familiare, ma anche dell’accudimento di fratelli e sorelle. La ricerca ha inoltre evidenziato come il lavoro aumenti in presenza di familiari con bisogni di assistenza e di accudimento”.
Tra le attività messe in luce dalla ricerca in particolare:
- Supporto emotivo: tenere compagnia una persona evitando che rimanga da sola o sollevare il morale di un membro della propria famiglia (conforto, distrarre, incoraggiare, …), ecc.
- Lavoro domestico e supporto alla famiglia: cucinare, pulire la casa, fare la spesa, interagire con altri adulti e aiutare a tradurre o a comprendere il nuovo contesto di vita (per le famiglie con background migratorio)
- Cura e igiene intima: accudire qualcuno, aiutandolo a vestire, svestire o a lavarsi, ricordare di prendere le medicine, accompagnare alle visite mediche
- Accudimento di fratelli e sorelle: occuparsi di loro anche in presenza di adulti, recuperarli o portarli a scuola o altrove, ecc.
- Supporto economico: pagare bollette, fare piccoli lavoretti per sostenere economicamente la famiglia, gestire le utenze della casa, ecc.
In particolare, “le principali attività svolte dal campione preso in esame - precisa Limongelli - sono la cura intima e personale di un’altra persona, supporto emotivo e accudimento di fratelli e sorelle. Tali cure sarebbero profuse a favore di madri, fratelli e sorelle e nonni che esprimono bisogni di cura a causa di malattie croniche , disabilità, problemi psichici, di salute mentale e legati alle dipendenze. Tra costoro vi è un gruppo di studenti - ricorda - che ha manifestato maggiore disagio rispetto alle proprie responsabilità di cura attraverso un marcato stato d’animo negativo che si traduce anche in una scarsa soddisfazione della propria vita e una scarsa soddisfazione nella relazione con i genitori. Questa condizione sembrerebbe essere esacerbata ulteriormente da coloro (6%) che hanno un familiare richiedente assistenza continua.
Le cause di questo fenomeno sono diverse. “Nel nostro Paese sono dovute, soprattutto, a un welfare incentrato sulla famiglia - illustra Limongelli - anche i caregiver adulti , soprattutto donne, portano sulle spalle tutto il peso di cura del famigliare malato o con disabilità, lo Stato fa ben poco. Inoltre, i nuclei familiari, a differenza di trent’anni fa, sono più piccoli e quella rete sociale su cui un tempo si poteva contare, non esiste praticamente più. Le crisi economiche e le varie politiche di austerità hanno fatto il resto”.
Le conseguenze non sono indifferenti per i giovani caregiver, in particolare a livello psicologico con “ansia, stress e parentificazione, il figlio che accudisce il genitore a cui si associano le fatiche a scuola - sottolinea l’esperta - il basso rendimento scolastico, l’abbandono scolastico, la difficoltà di avere relazioni al di fuori della famiglia sono tutte problematiche che, se non gestite in tempo, si possono acuire nella transizione all’età adulta. Ci sono poi le conseguenze emotive, come rabbia, tristezza, comportamenti a rischio, abuso di sostanze, per lenire il disagio psicologico”.
Attualmente non esistono azioni di welfare ad hoc per i giovani caregiver - mancano anche per gli adulti – ma, in questi casi, si parla di “bambini e adolescenti” per i quali non esiste, a livello nazionale, nessuna tutela che possa accompagnarli nella gestione di questo ruolo. “Esiste - ricorda Limongelli - il buonsenso ed esistono gli interventi mirati sui bambini e bambine che entrano, per una qualche motivazione, all’interno dei servizi di tutela minorile, dove già c’è del disagio di una qualche natura, al quale viene sommata la condizione di young caregiver, ma chiaramente non può essere questa la modalità di intervento, non possiamo pensare di lavorare in emergenza. È vero che esistono, come spesso accade, delle condizioni di comorbilità, ma dobbiamo cominciare a trattare questo fenomeno in quanto tale, non in quanto conseguenza o comorbilità”.
In questo contesto “le Istituzioni - conclude la ricercatrice - dovrebbero prendere esempio da Paesi come il Regno Unito che, circa 30 anni fa, ha riconosciuto il fenomeno a livello legislativo, favorendo un cambio culturale e sociale che tutela i giovani caregiver attraverso la promozione di Politiche sociali a sostegno delle famiglie con membri fragili, non autosufficienti e con disabilità. Il lavoro delle Istituzioni ha favorito la nascita di programmi di sostegno dei giovani caregiver nelle scuole e interventi sociali specifici per le loro famiglie e per loro stessi, al fine di evitare l’isolamento e l’abbandono scolastico”.
Da questa ricerca, dall’esperienza di co-ricercatori, è nato Young Care Italia, una delle associazioni che rappresentano questo mondo, lo aiutano e lo sostengono. Soprattutto, fanno in modo che sia visibile, che se ne parli sempre di più.
19/05/2023