“Negli ultimi anni la storia naturale dell'atrofia muscolare spinale”, nota come Sma “è radicalmente cambiata”, spiega Marika Pane, direttore clinico del Centro Nemo pediatrico di Roma e professore associato di Neuropsichiatria infantile all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Per questa “malattia genetica autosomica recessiva in cui entrambi i genitori sono portatori sani della patologia, qualche anno fa - aggiunge Eugenio Mercuri, direttore dell'Unità operativa di Neuropsichiatria infantile del Policlinico Agostino Gemelli, università Cattolica del Sacro Cuore di Roma - abbiamo avuto la gioia di vedere 3 terapie approvate che hanno letteralmente rivoluzionato la progressione della malattia, il nostro modo di vedere la malattia”, ma purtroppo non sono disponibili in tutte le regioni per la mancanza dello screening neonatale.

Nel dettaglio, “prima dell'avvento dei nuovi trattamenti - illustra la professoressa Pane - la Sma era una malattia devastante, la prima causa di morte nell'infanzia, soprattutto per la forma 1, la più grave”. Si distinguono però anche il “tipo 2, in cui il bambino acquisiva la capacità di stare seduto in maniera autonoma, ma non di camminare. Una diagnosi di tipo 3, dopo i 18 mesi, vedeva una capacità di camminare che, soprattutto in adolescenza, poteva essere persa. Dall'avvento” dei nuovi trattamenti, c’è stata “una vera e propria rivoluzione copernicana, soprattutto per i bambini con la forma 1 che non muoiono più: una grande vittoria che la comunità scientifica e l'associazione delle famiglie ha ottenuto in questi anni”. Alle nuove terapie si è associato “l'arrivo del newborn screening, quindi dello screening neonatale - precisa - che ha sovvertito in maniera radicale e definitiva questa situazione: facciamo la diagnosi nelle primissime giornate di vita di un bimbo” e si interviene tempestivamente con la terapia. “Comunicare la diagnosi è quindi diventato, da un lato, più semplice, perché si può offrire a 2 giovani genitori una qualità della vita completamente diversa rispetto a quella di 6-7 anni fa. Dall'altra” resta complicata per “l’impatto emotivo che è comunque molto forte. Per questo, cerchiamo di comunicare la diagnosi insieme al genetista e forniamo supporto psicologico, anche nella scelta terapeutica”.

A proposito delle 3 nuove terapie, “la prima è stata l'infusione intratecale che ha cambiato radicalmente la storia naturale della malattia - elenca Pane - Poi è arrivata la terapia genica, che è sicuramente quella su cui forse c'è stato più impatto, anche mediatico” legato all'idea “che questo cerotto sul gene malato possa veramente cambiare la malattia. Quindi, è arrivato un farmaco per bocca, molto semplice da somministrare, facile da gestire, che ha un notevole impatto sulla qualità della vita anche perché, insieme al farmaco intratecale, può essere utilizzato su tutti i pazienti indipendentemente dalla forma di Sma e dall'età”.

Nonostante i passi avanti fatti, “restano però ancora dei punti che possono essere potenzialmente migliorati - evidenzia il professor Mercuri - In questo momento ci sono dei nuovi” studi che prevedono “di affiancare, agli esistenti, dei nuovi farmaci, o di modificarne le modalità di somministrazione”. Sull’accesso alle terapie disponibili, “l'introduzione dello screening neonatale per la Sma, nel Lazio - esperienza pilota che poi si è diffusa in tantissime altre regioni, ma purtroppo non in tutte - ha permesso di vedere come, la somministrazione precoce” della terapia “prima della comparsa dei segni clinici, comporti uno sviluppo ancora migliore - rimarca Mercuri - I bambini trattati prima della comparsa dei segni clinici, hanno un'evoluzione che, in molti casi - soprattutto se hanno 3 copie del genere Smn2 - ricorda molto quello dei loro coetanei che non hanno la Sma. Sono dei risultati davvero eccezionali che, da una parte ci riempiono di gioia e, dall'altro, ci danno anche un filo di tristezza al pensiero che, se un bambino nasce nella regione sbagliata - rimarca amaramente - è condannato ad avere un'evoluzione di malattia diversa, per l'assenza dello screening”.

Infine, l'arrivo dei nuovi farmaci “ha reso necessaria una raccolta di dati che ci permetta di poter guardare in maniera obiettiva, e su una larga scala, quelli che sono poi i risultati ottenuti - argomenta Mercuri - In Italia noi abbiamo istituito da diversi anni il registro ‘Ismac’. Siamo riusciti a conoscere il numero delle persone affette da Sma e a delineare la rappresentazione nelle diverse regioni per i diversi tipi di atrofia muscolare spinale. È stato molto bello vedere” come sia aumentato “il numero dei bambini vivi con la Sma di tipo 1, la forma più grave e più frequente. Proprio recentemente questo grande registro” ha evidenziato che “in Italia dal 2016, ovvero dall'anno in cui il primo farmaco innovativo è stato reso disponibile, la sopravvivenza a 2 anni è passata dall'8% al 90% per i bimbi trattati e, alcuni di questi, hanno già 7-8 anni. Questo è importantissimo anche per poter prospettare dei risultati a lungo termine che, finora - conclude - non erano disponibili”.